ESCLUSIONE DELL’INDISSOLUBILITA’ PER L’ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO RELIGIOSO
1. – L’indissolubilità, assieme all’unità, viene trattata dal codice come una proprietà essenziale” del matrimonio (can. 1055; 1101,2; 1125,3°).
Il can. 1101 statuisce:
§ 1. “ Internus animi consensus praesumitur conformis verbis vel signis in celebrando matrimonio adhibitis.
§ 2. At si alterutra vel utraque pars positivo voluntatis actu excludat matrimonium ipsum vel matrimonii essentiale aliquod elementum, vel essentialem aliquam proprietatem, invalide contrahit”.
Il canone è distinto in due paragrafi: il primo stabilisce una “praesuptio juris”, ossia una corrispondenza tra la volontà dichiarata e quella interna al soggetto. Si tratta di una presunzione “iuris tantum”, ciò vuol dire che detta presunzione può essere superata allorquando si provi l’effettiva difformità, in caso contrario vi sarebbe una sostituzione del legislatore ai nubendi nel dare il consenso matrimoniale: cosa in palese e grave contrasto con il dettato del can. 1057, p. I CJC.
Il secondo paragrafo, invece, prevede i casi in cui si realizza il fenomeno della simulazione; infatti, quando uno dei contraenti esclude la indissolubilità vuole qualcosa “totaliter aliud a matrimonio” e perciò vizia essenzialmente il consenso e realizza un matrimonio nullo.
2. – Dottrina e giurisprudenza esplicitano due ipotesi di simulazione: totale o assoluta e parziale o relativa. La cd. simulazione parziale, consiste nell’esclusione volontaria di un “elemento essenziale” o di una “proprietà essenziale” del matrimonio. A tal proposito il canone 1056 del C.I.C. dispone: “essentiales matrimonii proprietates sunt unitas et indissolubilitas, quae in matrimonio christiano ratione sacramenti peculiarem obtinent firmitatem”, chi esclude, pertanto, la proprietà essenziale relativa all’indissolubilità contrae invalidamente.
Tale esclusione, come risulta dal canone 1101 § 2, deve realizzarsi attraverso un atto positivo di volontà. Afferma l’illustre studioso O. Giacchi: “Nell’animo del nubente, perché si abbia simulazione…occorre vi sia non un’assenza della volontà matrimoniale ma la presenza di una positiva volontà di escludere” (Il consenso matrimoniale nel matrimonio canonico, Milano 1982, 92). L’espressione “positivo voluntatis actu excludat” è così commentata dal Castano nel testo “Il Sacramento del matrimonio” II, Roma, 1991, pag. 186: “noi crediamo che l’espressione in questione voglia dire che non è sufficiente la mancanza (assenza) dell’intenzione di escludere, ma è necessaria la presenza (esistenza) di detta intenzione. Nell’animo del nubente, perché si abbia simulazione occorre vi sia, non una assenza di una volontà matrimoniale ma la presenza di una volontà di escludere. Quindi non basta che esista il nolle ma si richiede il velle non. Solo così siamo davanti a un atto positivo di volontà”.
3. – L’atto positivo di volontà che vizia il consenso può essere sia esplicito che implicito. Per quanto riguarda più da vicino il bonum sacramenti, chi con un autonomo atto positivo di volontà si riserva la ius solvendi vinculum a suo piacere, o la libertà, possibilità, o facoltà di ricorrere al divorzio, esclude eo ipso la perpetuità del vincolo. Il consenso revocabile, cioè espresso “ad tempus” non può validamente costituire il matrimonio, quindi chi decide con atto positivo di volontà di contrarre un matrimonio dissolubile a suo arbitrio, esclude “ipso facto” la proprietà essenziale della indissolubilità del consenso matrimoniale e quindi contrae invalidamente il matrimonio (S.R.R. Dec., sent. 31 novembre, coram Di Felice, vol. LXXIII, pp. 530).
4. – L’intenzione del coniuge di ricorrere al divorzio in caso di naufragio del matrimonio la cui eventualità è temuta per molte ragioni non significa altro se non la volontà di recuperare la piena libertà di vita. A volte, invero, vi è nel contraente la volontà di contrarre il matrimonio e spesso accede ad essa anche la volontà di impegnarsi per il buon esito della vita coniugale; tuttavia ciò non è permesso né è recepito “in perpetuum” ma si assume fermamente dal contraente che il vincolo non abbia valore ove accada il contrario.
5. – Sotto il profilo probatorio basterà ricordare l’eccezionale valore che assume la probatio directa e indirecta della esclusione positiva del matrimonio, in uno con l’insieme delle circostanze atte a meglio illuminare le finalità che il simulante si proponeva. Di indubbio valore è la confessio simulantis, specie se fatta in tempo non sospetto ed avallata da testi idonei e degni di fede, cui sia di supporto una apta causa simulandi. Né d’altra parte, è da sottovalutare la confessio iudicialis, quando questa provenga dalle parti, la cui credibilità non può essere messa in dubbio, non tanto in riferimento alle informationes, quanto alla interna coerenza della confessio stessa.
È, peraltro, utile ricordare che essendo le testimonianze decisive ai fini della prova della simulazione, la credibilità dei testi a norma del diritto è da presumersi fino a prova contraria.
6. – Di grande importanza probatoria sono tra le circostanze antecedenti quelle attinenti alla causa contrahendi, i motivi cioè che hanno indotto le parti a contrarre il matrimonio.
Più in particolare vanno richiamati i seguenti principi statuiti dalla Rota Romana.
Per provare la simulazione occorre provare innanzitutto la causa della simulazione e questa deve essere stabilita da circostanze antecedenti, concomitanti e susseguenti alle nozze (T.A.R.R.c. Fiore: 31 gennaio 1984; c. Bruno: 22 giugno 1984; c. Colagiovanni: 8 luglio 1986; c. Giannecchini: 18 dicembre 1990; c. de Lanversin: 30 gennaio 1991; c. Giannecchini: 22 marzo 1991); per la simulazione è necessario vi sia una causa idonea e proporzionata di simulazione (T.A.R.R. c. Funghini: 22 gennaio 1986); per la simulazione ciò che possiede maggior forza è la causa grave della stessa (T.A.R.R. c. de Lanversin: 25 luglio 1990); la simulazione del matrimonio viene provata soprattutto con la causa della simulazione (T.A.R.R.: c. Pompedda: 18 ottobre 1990).
Inoltre il Supremo Tribunale della Rota Romana ha statuito che il Giudice nella valutazione delle prove in tema di simulazione è completamente libero in quanto non è legato ad attribuire un peso determinato ad una o all’altra prova (T.A,R.R. c. Pompedda: 29 novembre 1990), potendole valutare secondo la propria coscienza al fine di raggiungere nel suo animo la certezza morale (T.A.R.R. c. Pompedda: 30 novembre 1990); in fatto di valutazione delle dichiarazioni delle parti e dei testi, si deve dire che nel vigente diritto è lasciata maggior facoltà al giudice e nello stesso tempo è dato maggior spazio agli altri elementi di prova (T.A.R.R. c. Jarawan: 8 marzo 1991).