Esposizione all’amianto: il diritto alla rivalutazione anche per il lavoratore in pensione
Prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 196/1993, conv. in L. n. 271/1993, il beneficio della rivalutazione, ai fini pensionistici, non spettava al lavoratore pensionato.
Di seguito, tale beneficio è stato esteso anche ai lavoratori che si erano posti in pensione dopo il richiamato D.L. 196/1993.
La Giurisprudenza
Sul punto appare utile richiamare la giurisprudenza di merito che si è premurata di fare chiarezza, dapprima chiarendo che rivalutazione non spettasse al lavoratore pensionato in quanto legata all’attività di impresa e non al lavoro svolto dai dipendenti: “Il beneficio della rivalutazione, ai fini pensionistici, del periodo contributivo per esposizione ultradecennale al rischio amianto non compete al lavoratore pensionato prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 196/1993, conv. in L. n. 271/1993, dato che, secondo il testo dell’art. 13, comma 8, L. n. 257/1992, prima della modificazione apportata dal suddetto decreto legge, il beneficio competeva solo “ai lavoratori occupati in imprese che utilizzano ovvero estraggono amianto, impegnate in processi di ristrutturazione…” ed era, così, legato all’attività dell’impresa e non al lavoro svolto dai dipendenti” (Corte d’Appello Milano, 12.01.2007).
È stato poi, statuito che a seguito della modifica legislativa: “Il lavoratore, laddove abbia la consapevolezza della esposizione ad amianto, può, a prescindere dalla questione se sia o meno pensionato e da quando, agire in giudizio, previa domanda amministrativa, per far valere il suo autonomo diritto” (Corte d’Appello Roma, Sez. lavoro, Sentenza, 21.02.2019, n. 678).
In applicazione di detti principi
Orbene, dalla logica sistematica delle norme appena richiamate e dalla possibilità che possa produrre domanda, stante l’esposizione all’amianto, per il riconoscimento del beneficio della rivalutazione del periodo contributivo ai fini pensionistici, anche il lavoratore già andato in pensione, ne discende che non possa assumersi che al lavoratore pensionato non spetti tale beneficio nell’ipotesi in cui la pensione sia stata calcolata con il massimo della contribuzione accreditabile. Innanzitutto se tale fosse stata la volontà del legislatore avrebbe chiaramente detto “salvo che il lavoratore in pensione non abbia raggiunto il massimo della contribuzione previdenziale”, ma di una simile precisazione, peraltro palesemente incostituzionale, non vi è traccia. D’altro canto sarebbe sommamente ingiusto ed illogico assegnare al lavoratore in pensione la possibilità di chiedere tale beneficio per poi negarglielo tout court.
Peraltro, con riguardo al lavoratore in pensione, non solo si presume ma, comunque, è più che probabile, che lo stesso abbia raggiunto il massimo della contribuzione, di talchè ancor di più si sarebbe reso necessario stabilire il limite di cui sopra.
Può accadere che INPS eccepisca che la pensione non possa essere riliquidata sulla base di una contribuzione che vada oltre “il massimo della contribuzione accreditabile”.
Contro un simile assurdo principio depongono tre circostanze:
a) il diritto all’incremento dell’anzianità contributiva per il periodo di esposizione all’amianto è stato attribuito con sentenza, passata in giudicato, nel pregresso contenzioso con l’INPS, per l’accertamento del diritto al beneficio della rivalutazione dell’anzianità contributiva, ai sensi della L. n. 257 del 1992, art. 13, per i periodi di esposizione all’amianto, con applicazione del coefficiente 1,25 e di tale provvista contributiva, irretrattabilmente riconosciuta, deve tenersi conto nel riliquidare la pensione;
b) la sentenza del Tribunale non è solo di accertamento: “dichiara il diritto del ricorrente a godere dei benfici pensionistici di cui all’art. 13 comma 8 L. 257/92…ma nei limiti della disciplina prevista dall’art. 47 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269 convertito…”, ma è anche di condanna: “condanna l’INPS a proceder al ricalcolo della situazione contributiva del ricorrente, con applicazione della maggiorazione prevista dalla citata normativa”;
c) come chiarito anche dalla Corte di Appello di Milano (sentenza 02 ottobre 2014), l’INPS non può lamentare quanto non fatto nel giudizio che ha riconosciuto l’esposizione all’amianto del lavoratore: “l’Istituto nulla ha dedotto nè eccepito in quel giudizio, che si è concluso con la condanna dell’INPS alla riliquidazione del trattamento pensionistico considerando anche l’accredito figurativo derivante dal riconoscimento del detto beneficio”, così valorizzando l’intero patrimonio contributivo, con la sommatoria di eventuali diverse gestioni e tenuto finanche conto dell’incremento figurativo.
In definitiva
Anche ove si volesse dare rilievo ad un non meglio giuridicamente individuato limite invalicabile all’incremento dell’anzianità contributiva per esposizione all’amianto costituito dalla contribuzione posseduta in misura inferiore al tetto massimo dell’anzianità contributiva prevista dal regime previdenziale di appartenenza – con la conseguenza che l’incremento ulteriore dell’anzianità per periodi di esposizione ad amianto venga escluso per coloro che abbiano già raggiunto la massima anzianità contributiva – tanto non può non risultare temperato dal giudicato esterno per effetto del quale l’incremento contributivo, per esposizione ad amianto, è entrato ormai a far parte della provvista contributiva del lavoratore e della stessa deve tener conto l’INPS per la riliquidazione del più favorevole trattamento pensionistico.