Il comportamento dei figli ai fini dell’esonero dall’assegno di mantenimento
In più occasioni, la Suprema Corte ha chiarito il comportamento dei figli ai fini dell’esonero dall’assegno di mantenimento.
Infatti, il figlio che, rifiutando senza motivo, nonostante l’età avanzata, di acquisire l’autonomia economica tramite l’impegno lavorativo e negli studi, non sia tutelabile con la corresponsione dell’assegno di mantenimento.
La Corte ha così statuito l’esonero dalla corresponsione dell’assegno da parte del genitore obbligato nel caso di figli che tengano un comportamento di inerzia e rifiuto ingiustificato di occasioni di lavoro e quindi di disinteresse nella ricerca di una indipendenza economica (Cass., n. 7970/2013).
Tanto ancor di più nel caso di studenti universitari che non diano prova di impegno nello studio. Infatti, il permanere dell’assegno in simili situazioni contrasta palesemente con il principio di autoresponsabilità, legato alla libertà delle scelte esistenziali della persona, tenuto conto dei doveri gravanti sui figli adulti (da ultimo, Cass. n. 12952/2016).
In particolare, la Suprema Corte, già con sentenza n. 951/2005, nel prendere in esame la fattispecie di un padre che chiedeva la revoca del contributo al mantenimento per una figlia da tempo maggiorenne che viveva con la madre ma che non aveva completato gli studi universitari, nel confermare la sentenza di appello che aveva revocato l’assegno di mantenimento, osservava: “che il mancato raggiungimento dell’autonomia economica andava attribuito a colpa della ragazza che fin da data anteriore alla malattia della madre avrebbe potuto conseguire il diploma di laurea o comunque sostenere un maggiore numero di esami”.
Le analoghe pronunce
In un caso analogo, di una studentessa universitaria fuori sede ultratrentenne, la Cassazione ha dichiarato cessato l’obbligo di mantenimento per il padre, per avere la figlia ingiustificatamente non terminato il corso di studi oppure trovato una pur possibile attività remunerativa (Cass. Civ. n. 27377/2013).
Allo stesso modo la Suprema Corte ha escluso il diritto al mantenimento del figlio ventottenne che era iscritto all’università da più di otto anni (Cass. n. 1585/2014).
Illuminante è anche l’archiviazione della denuncia penale nei confronti di un padre spazientito che, a fronte del non brillante rendimento scolastico del figlio (bocciato due volte di seguito), disattendeva il provvedimento di versare l’assegno di mantenimento, non essendo più disposto a versare quell’assegno “al buio”, come se fosse una sorta di “pensione anticipata”. Il GIP, infatti, aveva cura di annotare che da parte del padre non vi era stata “l’intenzione di violare degli obblighi, ma al contrario quella di aiutare il figlio a maturare”. (Tribunale Busto Arsizio – 2010, GIP Nicoletta Guerrero).
Come pure il Tribunale di Torino ha concesso al padre divorziato la sospensione dell’assegno per “colpevole inerzia” per un figlio di 24 anni che passava da un corso all’altro per poi pretendere di riprendere gli studi, interrotti nel 2013 in quarta liceo, e facendo presente che nel 2014 aveva conseguito l’abilitazione di personal trainer di primo livello.
Orbene, il Tribunale osservava che il passare da un’attività all’altra, preparatore atletico, corso di ristoratore o sommelier o agente immobiliare, dava prova che il figlio non si era soffermato in modo serio e continuativo su una sola di esse che gli consentisse, quanto meno, un inizio di autonomia (Tribunale Torino, sez. VII, 26.09.2016, ud. 26.09.2016).
Da ultimo, in una fattispecie che vedeva la possibilità data ad entrambi i figli di proseguire gli studi attraverso l’iscrizione all’Università, ma a causa degli scarsi risultati ottenuti, il Tribunale ha accolto la richiesta di revoca dell’assegno cui era tenuta la madre. In altri termini perde l’assegno di mantenimento da parte del genitore chi decide di fare lo studente a vita: “un figlio, mostratosi irrispettoso avverso gli impegni economici dei propri genitori (peraltro separati fra loro!) per sostentarlo all’università, mostrando uno scarso interesse, oltre che rendimento, perde il diritto ad essere mantenuto” (Cass., I Sez. Civile, 01.02.2016, n. 1858).
È, quindi, ormai orientamento più che consolidato che quando il figlio studente, per sua ingiustificata inerzia, non provvede a terminare gli studi in un tempo ragionevole, perde il diritto al mantenimento da parte dei genitori.
Né può disattendersi che, finanche, le decisioni della Suprema Corte che si sono poste in un indirizzo di tutela per i figli, come nel caso della pronuncia n. 8221/2006 relativa alla fattispecie di un padre che in sede di divorzio aveva chiesto, tra l’altro, la revoca del contributo al mantenimento di una figlia, iscritta all’università ma non in regola con gli esami.
Gli Ermellini chiariscono comunque l’esistenza di termini e non di un protrarsi sine die degli studi “(…) pur non essendo quest’ultima in regola con gli esami universitari apparisse tuttavia normale il raggiungimento della laurea in biologia tra il ventiquattresimo ed il venticinquesimo anno di età, nonché il successivo reperimento di un impiego da parte di un giovane laureato di tale genere, attorno al compimento del ventiseiesimo anno di età” e, quindi, ritenendo di stabilire a questa data la cessazione dell’obbligo del padre di contribuire al mantenimento della figlia, restando parallelamente la casa familiare in godimento esclusivo alla moglie solo sino a quella data.