I doveri dei genitori nei confronti dei figli hanno rilievo costituzionale (art. 30) e che i genitori hanno il dovere di provvedere alla cura dei figli, facendo tutto il possibile per soddisfare le loro esigenze e realizzare i loro interessi. Il dovere di mantenimento deve essere commisurato ai redditi, alla consistenza del patrimonio ed alla idoneità lavorativa e professionale dei genitori.
Non a caso l’obbligo di mantenimento, a differenza di quello alimentare, non è limitato al soddisfacimento dei bisogni elementari di vita, ma comprende anche ogni altra spesa necessaria per arricchire la personalità del beneficiario (Cass. n. 4203/2006; nello stesso senso, Cass., n. 6197/2005; Cass. n. 26587/2009).
Né, tale mantenimento, è subordinato allo stato di bisogno del beneficiario, ma discende automaticamente dalla posizione del singolo all’interno della famiglia, a prescindere da qualsiasi altro presupposto.
Il Supremo Collegio
Nello specifico, premesso che l’affidamento congiunto non esclude l’obbligo del versamento di un contributo a favore del genitore con cui i figli stessi convivono, la Corte di Cassazione ha finanche chiarito che: “In tema di mantenimento dei figli minori, la corresponsione di un assegno periodico a carico di uno dei genitori si rivela quantomeno opportuna, se non necessaria, quando l’affidamento condiviso dei figli preveda un collocamento prevalente presso uno di loro, tenuto conto che tale genitore (c.d. «collocatario»), essendo più ampio il tempo di permanenza presso di lui, avrà necessità di gestire, almeno in parte, il contributo al mantenimento da parte dell’altro genitore, dovendo provvedere in misura più ampia alle spese correnti e all’acquisto di beni durevoli che non attengono necessariamente alle spese straordinarie (indumenti, libri, ecc….)” (Cass., n. 23411/2009; dello stesso tenore, Cass., n. 1818/2006; Cass., n. 23630/2009).
I parametri di riferimento del quantum
Il legislatore del 2006 ha dettato all’art. 155 c.c., comma IV, una serie di paramenti di riferimento che, comunque, non costituiscono affatto un elenco tassativo e limitativo ma, al contrario, possono essere integrati e meglio specificati in base alle singole fattispecie concrete.
Nello specifico l’art. 155 c. 4 c.c. prevede che ciascuno dei genitori debba provvedere al mantenimento dei figli (sia con riferimento alle spese ordinarie che straordinarie) in misura proporzionale al proprio reddito, tenuto conto dei seguenti elementi:
– le attuali esigenze dei figli;
– il tenore di vita goduto dai figli in costanza di convivenza con entrambi i genitori;
– i tempi di permanenza presso ciascun genitore;
– le risorse economiche di entrambi i genitori;
– la valenza economica dei compiti domestici e di cura svolti da ciascun genitore.
Il legislatore della riforma (L. 54/2006) ha così curato l’elencazione dei criteri di determinazione dell’assegno in modo da facilitare l’individuazione sia dell’an che del quantum.
I primi due parametri pongono quale punto di riferimento centrale della valutazione il minore stesso, mentre quelli successivi riguardano maggiormente i genitori e la loro situazione economica e di gestione dell’affidamento del minore.
Il riferimento alle “attuali esigenze del figlio” ed al “tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori” sono chiari parametri destinati a porre in primo piano, anche nella determinazione dell’assegno di mantenimento, come in qualsiasi altro “provvedimento relativo alla prole”, quel preminente “interesse morale e materiale” dei figli che è stata la linea guida dell’intera riforma.
Numerose sono le pronunce, tanto della Cassazione quanto dei Giudici di merito, nelle quali si evidenzia la portata ed importanza di questi due criteri, tali da assumere un peso ancor più rilevante del riferimento alla “risorse economiche di entrambi i genitori”.
Infatti; “Ai fini della determinazione dell’assegno periodico per i figli, l’art. 155 cod. civ. novellato attribuisce sicura preminenza al criterio delle “esigenze attuali del figlio” che non sono certamente soltanto quelle inerenti il vitto, l’alloggio e le spese correnti, ma attinente ad esse è indubbiamente l’acquisto di beni durevoli (ad es., indumenti e libri), che non rientrano necessariamente tra le spese straordinarie” (Cass. n. 23630/2009).
Tanto che “… in tema di mantenimento dei figli minori, la fissazione di una somma a titolo contributivo a carico del genitore non convivente può venire correlata, non tanto alla quantificazione delle entrate derivanti dall’attività professionale svolta da quest’ultimo, quanto, piuttosto, ad una valutazione complessiva del minimo essenziale per la vita e la crescita di un bambino…” (Trib. Min. Di Catania, del 29 febbraio 2009).
Il riferimento alle “attuali esigenze del figlio” è allora un parametro destinato a garantire che il minore non venga pregiudicato nella sua serena crescita e formazione a causa della fase patologica attraversata dalla coppia genitoriale ma che, al contrario, le proprie normali esigenze vengano sempre e comunque soddisfatte, come avviene nella famiglia unita ex art. 148 c.c..
Proprio quest’ultima considerazione si collega al secondo parametro che è finalizzato, invero, ad evitare qualsiasi stravolgimento nella vita del minore che invece deve presentarsi come soluzione di continuità del regime di vita precedente “in quanto il mantenimento deve essere quantificato considerando non solo le esigenze dei figli, in relazione alle età e alle altre necessità di inserimento lavorativo e sociale, ma anche in rapporto al tenore di vita goduto in costanza di convivenza con entrambi i genitori, tenore di vita determinato dalla confluenza dei redditi e delle risorse genitoriali” (Corte App. Roma, del 13 gennaio 2012).
Tali primi due criteri vanno, poi, considerati e coordinati con gli altri elencati nella disposizione in esame, ovvero: “i tempi di permanenza presso ciascun genitore; le risorse economiche di entrambi i genitori; la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore” (Cass., n. 10197/2011).