Lo stabilisce l’ordinanza n. 19955/2024 della Suprema Corte di Cassazione su ricorso dello Studio Legale Longo
Tizio e Caia si sposavano con matrimonio concordatario dal quale avevano un figlio, Mevio. Dopo la separazione dei coniugi, il Tribunale stabiliva che Tizio doveva versare alla moglie € 350,00 per il suo mantenimento e € 500,00 per quello del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente. Oltre al 70% delle spese straordinarie per quest’ultimo.
Successivamente, il Tribunale dichiarava la cessazione gli effetti civili del matrimonio. Confermava l’assegno di divorzio per Caia e il contributo di € 350,00 mensili per il mantenimento del figlio, mantenendo l’assegnazione della casa familiare alla madre. Tizio presentava appello per revocare entrambi gli assegni. La Corte di appello di respingeva la richiesta, riducendo soltanto l’assegno per il figlio a € 200,00 mensili e confermando le spese straordinarie.
Tizio proponeva ricorso per Cassazione, che veniva accolto parzialmente, evidenziando che Mevio, era iscritto all’Università per 14 anni senza mai completare quasi un esame, non aveva fornito prove di seri tentativi di trovare lavoro.
La Suprema Corte ha, infatti, sottolineato che l’onere della prova dei requisiti per il mantenimento di tale assegno è particolarmente facile se il figlio ha appena raggiunto la maggiore età. Tanto, anche negli anni immediatamente successivi, qualora il giovane abbia intrapreso un percorso di studi, poiché questo costituisce una prova presuntiva dell’impegno necessario per avanzare verso l’ingresso nel mondo adulto.
Il principio di diritto
La prova del diritto all’assegno, però, diventa più onerosa man mano che l’età del figlio aumenta, fino a diventare un “adulto”. Si deve, quindi valutare, secondo il principio dell’autoresponsabilità, caso per caso, se può ancora pretendere di essere mantenuto. Tanto anche considerando le scelte di vita fatte e l’impegno effettivamente profuso nella ricerca, prima, di una qualificazione professionale adeguata e, poi, di un’occupazione lavorativa.
Nel caso specifico, la Corte di merito ha ritenuto conclusa la lunga fase di formazione universitaria del figlio delle parti, peraltro senza alcun risultato conseguito, e ha considerato incontestato il fatto che il figlio Mevio, ormai ultratrentenne, fosse privo di lavoro e non avesse mai raggiunto una piena indipendenza economica.
Tuttavia, la Corte avrebbe dovuto verificare se il figlio, nonostante non avesse più sostenuto esami universitari, avesse comunque cercato invano una collocazione lavorativa. Invece, tale verifica non è stata effettuata, e la Corte si è limitata a considerare esistenti e giustificate le difficoltà di inserimento lavorativo recenti, senza neppure accertare se vi fossero stati tentativi di ricerca di lavoro.
La Corte Suprema di Cassazione ha quindi deciso di cassare la sentenza e rinviare il caso alla Corte d’Appello di Lecce, in diversa composizione, per un nuovo esame.